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La costante ricerca di personale

Una delle cose che mi ha sempre stupito della Gialla era la costante ricerca di personale. Nonostante l’assunzione a tempo indeterminato, infatti, parecchie persone, appena potevano, rassegnavano le dimissioni. Lavorare nella Gialla era solo una fonte di reddito, ma mai un piacere o una soddisfazione. E ora che ci penso meglio a distanza di anni, non incontrai mai una persona felice d’aver svolto le proprie mansioni per otto, dieci o dodici ore al giorno. Chi poteva, appena poteva, scappava. Chi, invece, per sua sfortuna, non poteva, o si rassegnava a subire tutti i santi giorni un clima lavorativo assolutamente indigeribile, oppure dichiarava guerra ai propri superiori e all’azienda e passava l’intera vita lavorativa a difendersi e ad attaccare. Non c’era una via di mezzo, una soluzione intermedia, un piano B: lavorare nella Gialla era come stare in un campo di battaglia. Se decidevi di rimanerci, non avevi alternative: o uccidevi per sopravvivere o perivi. E a nessuno fregava nulla d

Ma tu vai a sapere il perché, come ragionano questi qui del ministero

Il presidente di commissione è il figlio di un noto penalista. Si dirige verso il microfono già raggiante, sicuro del fatto suo. Mentre arriva sorride a tutti, anche a quei morti di fame degli impiegati della corte d’appello. A ben vedere, anche uno dei commissari è il figlio di un noto civilista della città e di tutta la regione, ma non ha per nulla il suo atteggiamento, specie con gli impiegati. Questa cosa degli impiegati è meglio chiarirla una volta per tutte. Ogni avvocato del tribunale li disprezza e ne parla male: sono gli impiegati ma soprattutto le impiegate, specie quelle più vecchie, il vero problema che attanaglia e svilisce il suo modo di lavorare e di rendere conto ai clienti. Dovete sapere che quando gli avvocati entrano in una qualsiasi cancelleria del tribunale, che poi è un ufficio dove si conservano i fascicoli delle udienze, è il cancelliere, e cioè l’impiegato, a guardarlo dall’alto in basso.    E lui si prostra, si umilia e spesso fa da tappetino. E questo solo pe

Di fisso, in quello studio, c’era solo la ringhiera delle scale

Il primo avvocato mi stringe la mano, si presenta e m’invita a seguirlo. Il suo studio è una stanza piccola, di fianco all’unico cesso dell’appartamento, stracolma di libri, codici, riviste e altri oggettini che fanno arredamento e riscaldano un po’ l’atmosfera. E in effetti si potrebbe dire tutto tranne che non sia accogliente. Mi fa sedere e presentare, mi chiede in che materia ho fatto la tesi, se mi piace più il diritto civile o quello penale e che idea mi sono fatto della pratica che mi appresto a svolgere. Mi dice chiaramente che non ci sono né rimborsi né compensi né provvigioni né nulla di tutto quello che ci si potrebbe immaginare. Si lavora sodo e gratis, la mia ricompensa sarà l’imparare il mestiere. D’altra parte, tiene a sottolinearmi, chi glielo fa fare a insegnarmi qualcosa. Un domani, magari fra parecchi anni, potrei persino fargli concorrenza. E perché pagarmi adesso, quindi, che non so nulla, devo essere formato e non posso fare la mia parte. Penso alle pie illusioni

Un’aragosta morta nell’acquario

  Un’aragosta morta nell’acquario. Sta capovolta, zampe all’aria, chele in avanti, addome contratto come un nodo. Ma in fondo è stata fortunata. E se invece fosse stato un suicidio, un ultimo scatto d’orgoglio crostaceo? Vedi un po’ te. La guardo un attimo e poi do un occhio all’orologio: m’investe una tristezza, cari miei, che poi cede il posto solo a una ventata di ansia. Le due di notte e io sono ancora qui, in questo cazzo di posto, un non luogo. Ma non posso ancora andarmene, devo finire di buttare a terra i mangimi per cani e gatti. Quello che molto probabilmente non potete sapere è che arriva un momento, nella vita di un addetto al notturno, in cui buttare a terra diventa estremamente difficile. La ragione è evidente: quando conosci lo scaffale e sei lucido, ti basta un colpo d’occhio per capire quali cose lasciare al rifornitore e quali no, se ti è necessario portate fuori e passare in rassegna anche il bancale dell’avanzo oppure no perché gli spazi a disposizione sono già pien

Non credevo sarebbe mai arrivato anche il mio turno

  Non credevo sarebbe mai arrivato anche il mio turno. In fondo, queste persone, conservano abitudini precise come orologi svizzeri e, oltre a comperare sempre le stesse cose, fanno la fila dai medesimi cassieri. Conservano una prassi, un modus operandi, anche nelle piccole cose. Come tutti noi, d’altra parte. O hanno le loro fisse, nel bene e nel male. E come fai a dargli torto? Ma, questo qui, non era mica solo un cliente difficile, uno di quelli intrattabili che non vogliono sentir ragioni, tipo una vecchina da chiedo lo storno quando mi gira che adesso lo chiedo e basta o uno psicopatico dell’ultimissima birra in offerta che la rivendica anche se è finita e non gliela puoi dare manco se volessi, solo per zittirlo e levartelo dai piedi. Questo, questo qui, che poi era un vecchio, rimaneva il peggior incubo di tutta la barriera. Il problema? Puzzava d’urina. E non solo perché era sporco, estremamente sporco, lurido all’inverosimile, pieno di piaghe alle gambe scoperte e gonfie e clau

Il tempo libero non era più una valuta

L'idea, il pensiero del tempo, il pensare al tempo che passava inesorabilmente, non apparteneva a questa gente. Pensavano solo alle cose, e in particolare a quelle che si potevano comprare, alla materia, al calcio, alle case, ai ristoranti della domenica più a buon mercato, ai capi firmati, agli acquisti internet più convenienti, alle spese per mantenere i figli e a come soddisfare tutti i loro vizi e vizietti. Questa gente pensava solo a spendere. A spendere e a come guadagnare più denaro. A volte, dai loro discorsi, che poi, ad ascoltarli con attenzione, sembravano quelli dei venditori esperti che non aspettavano altro se non il momento opportuno per poter vendere a sé stessi, emergeva un'attenzione maniacale per il dettaglio, per le caratteristiche tecniche di ciò che più ardentemente bramavano acquistare.  Alcuni, poi, non vedevano l'ora che la Gialla li promuovesse, che li facesse arrampicare lungo la scala ripida e scoscesa delle posizioni aperte verso i vertici della

Mai abbastanza

L'idea che la madre di suo figlio rifiutasse di sposarlo lo faceva impazzire e gli toglieva il sonno, la pace, il respiro stesso.  Il pensiero che suo suocero lo ritenesse un errore di percorso, di gioventù o al massimo lo considerasse come colui che era stato vicino a sua figlia quando lei stessa non riusciva a reggersi da sola sulle proprie gambe, lo lasciava in preda a un'insoddisfazione senza pari.  E non era solo il lavoro da impiegata che lei aveva e lui no a fare questa differenza, anche se sapeva bene che quell'impiego le era stato gettato come un osso a una cagna proprio quando suo padre era andato in pensione e nello stesso ente pubblico.  No, non era quello.  Era il sapere di essere ritenuto inferiore, un figlio di gente di paese, che tutto può fare o avere senza essere trattato alla pari di questi borghesi che lo circondavano come un branco di lupi.  Era un fuco inseminatore, ecco chi era.  Un disoccupato, uno che l'aveva messa incinta ma che non era sopport

Una delle cose che penso più spesso quando lavoro

Una delle cose che penso più spesso quando lavoro in questa bolgia infernale, è che chi dirige la baracca pensa che siamo stupidi, veramente stupidi. Quando andiamo in sede per fare i corsi di formazione, l’azienda, tiene a farci presente che siamo speciali, che siamo importanti per il suo futuro, essenziali, e che, in un modo o nell’altro, siamo capitali per far sentire a proprio agio le persone mentre fanno gli acquisti. Che poi, a essere del tutto sinceri e non per spezzare una lancia a loro favore (per carità, mai e poi mai), un senso, tutto questo discorso, ce l’avrebbe pure, almeno dal punto di vista della fidelizzazione: esorto i miei dipendenti a trattare bene, e cioè con riguardo, rispetto e cortesia, la clientela, affinché questa ritorni il prima possibile e magari spenda anche di più. In teoria non farebbe una piega. In teoria. Poi ci fanno tutta una serie di assurde chiacchiere motivazionali che neanche sto qui a riportarvi per intero o solo a riassumervi, anche perché un p

La percezione dell'ostilità altrui

La percezione dell'ostilità altrui era diventata una solida realtà.  Concreta, materiale, quasi tangibile. Se prima si limitava a restare una sensazione, il che generava frustrazione ma contemporaneamente fiducia che potesse trattarsi solo di un pensiero, di una mia fissazione, alimentata da sguardi, modi di fare anche troppo sbrigativi e a tratti sconfinanti nel burbero e, non poche volte, nella cattiveria, se non nell'insensibilità pura o, come minimo, nell'assoluta assenza di tatto nel dire o non dire certe cose o nel farle o non farle, dopo i primi due, tre mesi, era naufragata nella certezza che coloro con cui avevo a che fare quotidianamente, anche se appartenevano a diversi reparti, non solo, non avevano alcun interesse a che io mi potessi radicare, riuscendo a sopravvivere, in quell'ambiente, ma volevano fare in modo che rinunciassi, che abbandonassi per sfinimento. Si era sedimentata in me la motivata consapevolezza di essere un corpo estraneo a quel mondo e ch

Mario, il capo cassiere, è stato umiliato anche oggi

Mario, il capo cassiere, è stato umiliato anche oggi dall’Ippopotamo, il direttore. Non so bene quale sia stata la sua mancanza ma è stato portato vicino all’ascensore del piano terra, oltre il bancone dell’accoglienza e là è stato malmenato con le parole. Stavo lavorando in una delle casse veloci, quelle a cui si può accedere se hai solo un cestino, ed ero abbastanza lontano, ma ho veduto distintamente il direttore che abusava dei suoi poteri e offendeva il poveretto con parole come “Coglione”, “Mentecatto”, “Essere inutile”, “Fardello aziendale”, “Handicappato” e “Imbecille”. Queste parole non le ho udite direttamente ma ho potuto vedere, dato che, seppur a breve distanza, stavo loro di fronte, i movimenti delle labbra dell’Ippopotamo, i suoi denti (pareva che ringhiasse e vomitasse gli insulti), gli occhi rivolti per terra del povero Mario e la sua espressione, triste, malinconica, arrabbiata e rassegnata: se solo avesse potuto si sarebbe sotterrato lì stesso. Poi ha girato i tacchi

A prima vista

A prima vista, in quei pochi secondi che m'erano bastati per aprire la porta del suo studio e controllare l'agenda, non m'era sembrato quel tale che veniva ritratto nel suo ambiente.  Anzi, osservandolo un po' meglio, con gli occhi di un nipote, pareva proprio un povero vecchio, i cui arti disgraziati mal si adattavano a un divano troppo corto, quale quello in cui s'era rannicchiato e addormentato.  E la coperta, polverosa e vissuta, si dimostrava assai ingrata e ingenerosa verso i suoi miserabili piedi, avvolti in calzini indecenti, che non aspettavano altro se non di rientrare in quelle vecchie barche dismesse che erano le sue scarpe. Richiusi piano, facendo attenzione a non svegliarlo: russava e dormiva come un bambino.

La grande distribuzione organizzata condiziona la nostra vita

La grande distribuzione organizzata (GDO) ha influito profondamente sulla nostra vita di persone e consumatori. Separo i due concetti, e sono convinto che tutti dovrebbero avere il coraggio e l’onestà intellettuale di farlo, perché questo modo di distribuire i prodotti di largo consumo, alimentare e non, su scala nazionale e internazionale, ci ha condizionato prima di tutto come persone e poi come consumatori. Le politiche di queste aziende, i loro profitti, il loro modo di gestire il personale e il rapporto con il cliente, hanno trasformato il modo d’interagire con i nostri simili e la realtà che ci circonda. Supermercato non è sinonimo di mercato e i reparti situati al suo interno non sono la realtà corrispondente a ciò che troveremmo per strada o nei mercati civici. Ma nonostante questo, continuano a riscuotere sempre maggior successo. La GDO ha avuto un grande effetto sulla realtà commerciale nazionale. Il primo, derivante dalle sue politiche di prezzo, di promozione e distribuzion

La vita di chi fa il cassiere è veramente dura

La vita di chi fa il cassiere è veramente dura, credetemi, sfibrante, snervante, opprimente. Ragion per cui, anche se la maggior parte di voialtri, che non ha mai provato a stare dietro un registratore di cassa, non sarà d’accordo, sappiate che occorre essere dotati di numerose qualità che, per questioni statistiche, non tutti possiedono né sono in grado di conquistare con il passare del tempo e dell’età. Non è affatto come sembra, non è cosa semplice né così matematica nella sua automaticità. Bisogna essere dotati di un equilibrio psicologico oltre la media, di una calma e di una pazienza degne di un maestro zen e dei riflessi e del coraggio di un domatore di leoni. Chi fa questo mestiere da molti anni e lo conosce a fondo, almeno quanto i clienti più assurdi che ne costituiscono l’humus essenziale, riuscendo a resistere e ad andare avanti senza sosta né rimpianti, è assimilabile più a un filosofo di vecchia data e a un equilibrista in bilico sopra l’abisso piuttosto che a u

Il Galletto era quasi il figlio del padrone

Il Galletto era quasi il figlio del padrone, nel senso che la madre, santa donna, era convolata a seconde nozze con l’amministratore delegato della Gialla, testa coronata della direzione commerciale con potere di vita e di morte su tutto l’organigramma e, in particolare, sul nostro affannoso peregrinare verso la vetta della piramide aziendale. Era intimamente tormentato e per questo intransigente, rabbioso, nervoso e, spesso, letteralmente privo di rispetto nei confronti dei suoi subordinati, che trattava come strofinacci per pulirsi i calzari. Si vantava di aver percorso il logorante iter di carriera come tutti e che il suo cammino da assistente di reparto era durato ben otto anni, di cui gran parte trascorsi a lavorare in un punto vendita dove si trafficava anche la notte, senza sosta. Tutti, lui compreso, sapevamo che da quando il suo destino aveva incrociato quello della gallina dalle uova d’oro, espressione con cui un mio collega chiamava simpaticamente l’A.D. della Gialla

La mia salvezza sarebbe cominciata da lì

Non avevo più dubbi, anche perché dubitare, in quella situazione, poteva essere una gran perdita di tempo, oltre che di nervi e sonno. Se vogliamo, poteva rivelarsi anche fatale per il mio equilibrio psicofisico.  Certo, potevo sempre dubitare di me stesso, del mio modo di comportarmi o di vedere le cose, ma l'evidenza, i fatti, il conclamato, prudevano, mi tiravano la giacchetta, gorgogliavano rumorosamente perché aprissi gli occhi e vedessi tutto per come era. Che mi dessi pace, perché ero perdente in partenza. Al di là di ogni mio sforzo, impegno o sacrificio, potevo constatare, con ragionevole attendibilità, che i legami che intercorrevano tra i personaggi che mi trovavo di fronte non potevano che portarmi a un'unica conclusione:  il gioco era truccato. La rappresentazione della realtà era inevitabilmente distorta. E a loro favore. Ognuna di quelle posizioni che ricoprivano era correlata a una conoscenza, a un favore, a una parentela, a uno scambio. Non c&