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Il mestiere dell'autoeditore

Io sono l'autore, io sono l'editore . Questo, per me, significa essere un autoeditore. Una parola nuova che ne racchiude due ma che si rivolge, nel suo significato più intimo e profondo, alla prima, e cioè all'autore, chi scrive e genera l'opera.  E che lo fa sia perché ha la  sensibilità  per farlo che la  necessità  di farlo. Se si volesse essere veramente precisi bisognerebbe mettere tra parentesi "edito":  Auto(edito)re .  Quello che faccio: scrivo, correggo, rileggo, riscrivo, a volte metto da parte per mesi o per anni, poi riprendo e rileggo, cerco di limare all'inverosimile e poi, ma solo poi, pubblico e non ci penso più, o per lo meno per qualche tempo, salvo ritornarci, cosa che accade puntualmente. Mi piace immaginare le copertine, ne osservo tante, ne punto alcune, le studio, confronto non solo le immagini, ma pure i caratteri utilizzati, e successivamente, con foto fatte e distorte da me, con cura certosina, cerco di realizzare le mie. Insomma

Scrivere è solo proporsi

Non avete mai pensato, non vi è mai venuto in mente che scrivere è solo proporsi? Solo proporsi, null'altro, punto. Non pretendere nulla dal lettore. Chi scrive, ma anche chi pubblica e decide di investire su un autore, nonostante la fiducia e la passione con cui intende mostrare il suo operato, non può pretendere né di essere compreso né tanto meno di essere accettato. Si esprime, butta fuori, lascia un segno, manda un segnale, ma non è detto che raggiunga veramente qualcuno, che lo intercetti e gli lasci qualcosa. Chi scrive, proprio perché lo fa prima di tutto per sé stesso, non ha alcun interesse a che qualcun altro recepisca il suo messaggio. Proprio per questo sono convinto che chi scrive non vuole veramente comunicare. Chi scrive crea, realizza un'idea, si libera esprimendosi e poi lascia andare. Uno sparo verso il nulla. Una bottiglia con un messaggio che galleggia in acqua e va alla deriva.