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La costante ricerca di personale

Una delle cose che mi ha sempre stupito della Gialla era la costante ricerca di personale. Nonostante l’assunzione a tempo indeterminato, infatti, parecchie persone, appena potevano, rassegnavano le dimissioni. Lavorare nella Gialla era solo una fonte di reddito, ma mai un piacere o una soddisfazione. E ora che ci penso meglio a distanza di anni, non incontrai mai una persona felice d’aver svolto le proprie mansioni per otto, dieci o dodici ore al giorno. Chi poteva, appena poteva, scappava. Chi, invece, per sua sfortuna, non poteva, o si rassegnava a subire tutti i santi giorni un clima lavorativo assolutamente indigeribile, oppure dichiarava guerra ai propri superiori e all’azienda e passava l’intera vita lavorativa a difendersi e ad attaccare. Non c’era una via di mezzo, una soluzione intermedia, un piano B: lavorare nella Gialla era come stare in un campo di battaglia. Se decidevi di rimanerci, non avevi alternative: o uccidevi per sopravvivere o perivi. E a nessuno fregava nulla d

La vita non è un volantino dell'Esselunga

Di tutta la bagarre in atto tra i cosiddetti “No Esselunga” e tutti i loro antagonisti, dai media alle forze dell’ordine e passando per i politici, ciò che mi ha veramente colpito è che chi prende posizione contro il colosso italiano sono degli studenti universitari. Chi fa rumore ed è disposto a beccarsi le sberle e le manganellate dai poliziotti è anche e soprattutto colui che rivendica il sacrosanto diritto di uno spazio per studiare e incontrarsi con altri suoi colleghi. La cosiddetta “teppa”, “la gentaglia”, “i violenti” sono, in realtà, parecchi ragazzi normali e di buona famiglia, persone educate e in buona fede, colpevoli soltanto di manifestare un’opinione contraria all’idea che deve predominare e realizzarsi. È vero che chi manifesta non produce né reddito né ricchezza e che un centro commerciale come quello di cui si discute, al contrario, crea posti di lavoro e un indotto complessivo di cui potrebbero beneficiare direttamente e indirettamente migliaia di persone. È altretta

Una delle cose che penso più spesso quando lavoro

Una delle cose che penso più spesso quando lavoro in questa bolgia infernale, è che chi dirige la baracca pensa che siamo stupidi, veramente stupidi. Quando andiamo in sede per fare i corsi di formazione, l’azienda, tiene a farci presente che siamo speciali, che siamo importanti per il suo futuro, essenziali, e che, in un modo o nell’altro, siamo capitali per far sentire a proprio agio le persone mentre fanno gli acquisti. Che poi, a essere del tutto sinceri e non per spezzare una lancia a loro favore (per carità, mai e poi mai), un senso, tutto questo discorso, ce l’avrebbe pure, almeno dal punto di vista della fidelizzazione: esorto i miei dipendenti a trattare bene, e cioè con riguardo, rispetto e cortesia, la clientela, affinché questa ritorni il prima possibile e magari spenda anche di più. In teoria non farebbe una piega. In teoria. Poi ci fanno tutta una serie di assurde chiacchiere motivazionali che neanche sto qui a riportarvi per intero o solo a riassumervi, anche perché un p

L'autoeditore è un professionista? Deliri pomeridiani

Lo vuoi capire che ti devi trovare un altro lavoro? Anzi, un lavoro, per essere precisi.  E smettila di atteggiarti a qualcuno che ha qualcosa da dire.  Pagaci le bollette e gli spaghetti e non stare lì seduto a far finta di pensare. Ancora? Ma che vuoi? Eh, ancora. Io la vedo grigia, capito? Qui non si sbarca il lunario. Ma perché non te vai? Andare? E dove, sono nella tua testa. Ho capito, ma lasciami in pace, ho da fare, non vedi? Sì, sì, come no, lo vedo che sei pieno d'impegni, che hai un diavolo per capello. Fai poco lo spiritoso, se no prendo un analgesico e finisce che sparisci almeno per una settimana. Cos'è? Una minaccia? Sì, hai capito bene, una minaccia. A questo siamo arrivati. Sì, perché mi hai rotto. E poi ho capito una cosa: tu non sei né una nevrosi né un'allucinazione, figuriamoci poi uno scampolo di coscienza che si autopromuove a direttore del mio gabinetto editoriale. E chi sarei, scusa? Sei un senso di colpa.  Pesante, asfissiante, vecchio come la nott

Il lavoro del cassiere è un lavoro delicato

Il lavoro del cassiere è un lavoro delicato. Molto delicato. Oltre al ruolo ufficialmente riconosciuto di gestore dei flussi di liquidità, questa figura aziendale, troppo spesso bistrattata e banalizzata, rappresenta l'unica vera cerniera tra l'azienda distributiva e la clientela, saltuaria o abituale e fidelizzata che sia. Sempre più sovente, infatti, se il cliente non si rivolge a nessun altro, il cassiere può diventare determinante per un suo ritorno, primo anello d’una lunga fidelizzazione, o, viceversa, per una sua fuga, causa di nefasta pubblicità e pietra tombale sul rapporto in procinto di nascere. Inizia a operare sin dalle prime ore della giornata ed è tra gli ultimi a lasciare il proprio posto, tenuto conto delle operazioni finali di chiusura. Lo stress lavorativo deriva, non soltanto, dall'utilizzo e dalla rendicontazione del contante, ma, soprattutto, dall'interfacciarsi con la clientela. Figure sgradevoli, pazzi veri e propri, maleducati, per

Arrivano gli assistenti del notturno

Quando sparivano gli ultimi clienti, quando i cassieri riconsegnavano i fondi canticchiando allegramente e gli addetti alle pulizie riponevano stracci e scope, quando tutto cominciava a spegnersi, come per magia, entravano in azione gli assistenti del notturno. Si trattava di coloro che organizzavano il lavoro per i mattinieri che, di lì a qualche ora, avrebbero dovuto cominciare a rifornire. L’attività consisteva nel prendere i bancali scaricati dai camion e, se non s’era fatta prima alcuna cernita dei colli, li si portava direttamente nei corridoi, li si apriva con la taglierina facendo attenzione a non rompere o danneggiare nulla e si cominciava a buttare a terra. Buttare a terra significa verificare il quantitativo della merce a scaffale ed eventualmente lasciare il collo in prossimità del relativo spazio da riempire. Lo scaffalista l’avrebbe aperto e rifornito l’ammanco. Questa trafila, di solito lunga e faticosa, perché la relativa durata era in stretta correlazione c

Le ragioni dell'operaio

È difficile comprendere le ragioni dell'operaio. Molto difficile.  Lui vuole che il proprio stabilimento continui a essere operativo, costi quel che costi, nonostante, dentro di sé, sappia con certezza che è causa diretta di morte da tumore. La sua fabbrica, quella che lo occupa, quella che gli paga lo stipendio, lo uccide. Lui lo sa, lo sa bene. Così come sa bene che  gli avvelena l'ambiente e uccide tutte le persone che vivono intorno a lui. Lentamente. Sono i suoi figli, i suoi genitori, i suoi amici, i suoi vicini di casa e tutti coloro che non conosce ma che sa di contribuire a uccidere. Ciononostante, difende a spada tratta il suo diritto di lavorare. Perché? Perché si è arrivati a barattare la salute con il diritto al lavoro? In una società che ha perso completamente il senso del limite e del bene comune, oramai basata solo sul denaro, sul potere d’acquisto, sull’interesse e sullo scambio di favori, esiste una morte peggiore di quella fisica. Si c

Ratti di magazzino, servi del supermercato: licenziata per una raccolta punti

La mia collega aveva  letteralmente perso  le  staffe.  La ragione era dovuta al fatto che alla cliente in questione non tornava l'importo sullo scontrino.  Una differenza da cinque euro. E poi al parapiglia avevano contribuito la fila infinita di acquirenti, un turno eterno senza andare al gabinetto, un miraggio dicevano alcuni, anche se proprio in quel punto vendita, almeno quello riservato alla clientela, distava neanche una decina di metri dalla barriera casse. E già in quel momento ero convinto che il tappo di spumante era volato via anche per altro, e di quest'altro ne avrei avuto la conferma qualche giorno dopo.  Il problema, però, non era stata tanto la reazione esagerata e la presenza di M, il capo cassiere, che l'aveva vista e sentita da lontano e che s'era precipitato a calmarla e a scusarsi con la cliente, anche perché quella stava lì a imprecare contro la vecchietta che le aveva fatto fare e rifare i conti per vedere se quei cacchio di cinque euro

Ratti di magazzino: lavorare nei supermercati. Pressioni e coartazioni psicologiche 1

Le pressioni psicologiche sono uno strumento concreto utilizzato per innalzare il rendimento del dipendente.   L’obbiettivo principale è e rimane l’aumento della produttività dei punti vendita . La strategia dell’osservazione diretta e dell’analisi dei casi più significativi, mi hanno permesso di giungere a qualche conclusione preliminare. Prima di tutto, le pressioni non sono esercitate con metodi o tecniche del tutto soggettivi, e cioè svincolati da una logica sistematica e collaudata. Al contrario,  specie  nelle catene distributive più strutturate, si può notare come il personale adibito alla direzione dei punti vendita utilizzi tecniche predefinite sulle quali è stato puntualmente istruito da appositi professionisti . Durante tutta la mia permanenza, ho avuto modo di constatare come ogni dipendente sia sottoposto a un periodo d’osservazione, di solito coincidente con la durata del primo contratto a tempo determinato, all'interno del quale si cerca di individuarne i tratti p

Ratti di magazzino: lavorare al supermercato. Il vecchio ci spiava.

Il vecchio, ogni tanto, ci spiava.  E non era un vecchietto qualsiasi, di quelli con giornale sotto braccio, pane, sigaro, bastone e tanto tempo da perdere. Il vecchio era il proprietario della Gialla che, seppur ogni tanto, giusto per il gusto di verificare di persona se le cose funzionassero per il meglio o, comunque, come dovevano funzionare da protocollo, si recava nel suo punto vendita preferito, che poi era quello che stava quasi dietro casa sua, al centro della città, e ci spiava. La sua tattica era rodata: si teneva gli occhiali da sole, il cappello e l'impermeabile, e si sedeva su una delle panchine che stanno al centro del punto vendita, subito dopo l'ingresso principale e poco prima della barriera casse. Stava lì, immobile, tra le piante esauste di vivere e ascoltava, ascoltava le voci dei clienti e i cassieri. Se qualcuno non si comportava come doveva o esagerava nei confronti di qualcun altro, soprattutto se di una certa età, dava una bella strigliata al direttore

Ratti di magazzino: lavorare nella grande distribuzione (parte prima). Racconto stiletto

Non so che cosa mi sia successo, ma sono entrato quasi subito nel panico. E la cosa era strana, in fondo il direttore del negozio mi aveva chiesto soltanto di prendere quel banchetto lurido che stava nel magazzino, tra la pressa del cartone e il primo bancale di pelati, di dargli una bella pulita e di posizionarlo di fianco al tornello dell'entrata. Ci aveva tenuto a mettermi in mano straccio, carta e detersivo spray, tieni mi aveva detto, e aveva ribadito di fare un buon lavoro, che poi quel piccolo, insignificante banchetto, sarebbe stata la prima cosa a  saltare all'occhio di tutti i clienti. Mentre cercavo di ripulirlo dal grasso e dalla polvere, che insieme avevano creato una miscela collosa difficilissima da mandare via, tanto che lo stesso sgrassatore pareva arrancare, sono stato assalito dall'ansia che qualcuno potesse riconoscermi. Mesi, anni, decenni di studio senza orari, senza tregua, senza risparmio, in costante preda dei sensi di colpa di non essere