Una delle cose che penso più spesso quando lavoro in questa bolgia infernale, è che chi dirige la baracca pensa che siamo stupidi, veramente stupidi.
Quando andiamo in sede per fare i corsi di formazione, l’azienda, tiene a farci presente che siamo speciali, che siamo importanti per il suo futuro, essenziali, e che, in un modo o nell’altro, siamo capitali per far sentire a proprio agio le persone mentre fanno gli acquisti.
Che poi, a essere del tutto sinceri e non per spezzare una lancia a loro favore (per carità, mai e poi mai), un senso, tutto questo discorso, ce l’avrebbe pure, almeno dal punto di vista della fidelizzazione: esorto i miei dipendenti a trattare bene, e cioè con riguardo, rispetto e cortesia, la clientela, affinché questa ritorni il prima possibile e magari spenda anche di più.
In teoria non farebbe una piega.
In teoria.
Poi ci fanno tutta una serie di assurde chiacchiere motivazionali che neanche sto qui a riportarvi per intero o solo a riassumervi, anche perché un poco me ne vergogno (e sono profondamente addolorato per la croce che si porta addosso il formatore, un poveretto, sicuramente neanche un dipendente), ivi comprese quelle sui saluti e sui sorrisi adeguati verso chiunque, anche quelli che ti offendono o ti sputano in faccia quando porgi loro lo scontrino, ma poi, in negozio, nel concreto, sui luoghi di lavoro, siamo noi a essere trattati come cani rognosi.
Altro che cliente.
Tutta questa bella gente vestita in giacca e cravatta ci responsabilizza oltremodo da dietro una scrivania ma è lontano mille miglia da prendersi minimamente la briga di dare una bella strigliata a coloro che la rappresentano dentro i punti vendita, cuore pulsante dell’attività aziendale, e che mettono in esecuzione le loro direttive.
Ora, badate, io so bene che i preposti vengono istruiti, sin dai primi giorni della loro poderosa carriera, a vessare il personale in maniera estrema, sarei un ingenuo a pensare il contrario, ma non pretenderanno mica di frustarmi senza limiti e di vedermi allo stesso tempo contento, sorridente come un cretino, di buonumore e disponibile nei confronti di coloro il cui soddisfacimento rappresenta la ragione intrinseca dei miei maltrattamenti?
Cioè: mi scorticano per aumentare la produttività e mi ricattano per trattare con riguardo il cliente, e poi io dovrei veramente, spontaneamente e intimamente essere bendisposto nei suoi confronti?
Ma che mi facciano il piacere.
Poi ci sono quelli che mi forzano la mano sul discorso che, alla fin fine, è proprio il cliente a pagarmi lo stipendio.
Lo dicono in maniera calma, lapidaria, scandendo bene le parole.
A volte si prendono anche una pausa di qualche secondo per ripensare a quanto hanno appena proferito.
Quando li sento, questi qui, nemmeno li guardo in faccia, faccio finta di niente e a volte mi verrebbe pure da fischiettare e girarmi dall’altra parte.
Un po’ come farei quando sento scoreggiare un vecchio che aspetta il treno vicino ai binari.
Si sono presi il mio tempo, questa è la verità, o almeno la parte che conta, ma non riusciranno mai a intaccarmi nell’animo, negli istinti residuali, negli impulsi primordiali.
E persino nella mia meschinità, nel mio constatare che il re è nudo e sulla tazza del cesso, nel mio fare i conti della serva su quello che mi sottraggono ogni giorno come se niente fosse e pretendendo, al contrario e in barba a qualsiasi contratto, sempre di più.
Già, il contratto.
Per questa gente vale quanto un programma elettorale dopo le elezioni.
E che si fottano, quindi, altro che attaccamento aziendale.
Saranno riusciti, sì, a strappare la forza lavoro dal mio corpo ma non riusciranno mai a impedirmi di vedere la realtà e giudicarla per quella che è.