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Visualizzazione dei post con l'etichetta grande distribuzione organizzata

Il tempo libero non era più una valuta

L'idea, il pensiero del tempo, il pensare al tempo che passava inesorabilmente, non apparteneva a questa gente. Pensavano solo alle cose, e in particolare a quelle che si potevano comprare, alla materia, al calcio, alle case, ai ristoranti della domenica più a buon mercato, ai capi firmati, agli acquisti internet più convenienti, alle spese per mantenere i figli e a come soddisfare tutti i loro vizi e vizietti. Questa gente pensava solo a spendere. A spendere e a come guadagnare più denaro. A volte, dai loro discorsi, che poi, ad ascoltarli con attenzione, sembravano quelli dei venditori esperti che non aspettavano altro se non il momento opportuno per poter vendere a sé stessi, emergeva un'attenzione maniacale per il dettaglio, per le caratteristiche tecniche di ciò che più ardentemente bramavano acquistare.  Alcuni, poi, non vedevano l'ora che la Gialla li promuovesse, che li facesse arrampicare lungo la scala ripida e scoscesa delle posizioni aperte verso i vertici della

Lavorare nella grande distribuzione è un inferno

Lavorare nella grande distribuzione è stressante .  Molto stressante.  Non è un lavoro come tutti gli altri e, per certi versi, è una vera e propria condanna.  La gioia di lavorare viene annullata nella GDO .  Le continue pressioni, gli ordini, il mobbing, le urla e i maltrattamenti dei preposti impediscono, di fatto, di operare con serenità e tranquillità per tutte quelle lunghe e interminabili ore che separano il dipendente dalla timbratura di fine turno.  E l'indomani la condanna continua, fino alla fine, fino alla rassegnazione, fino all'esaurimento di tutte le sue energie e della sua voglia di continuare.  Non si beneficia di una regolarità mensile nella turnazione e si deve rimanere costantemente a disposizione delle esigenze aziendali.  Gli orari della squadra dei “mattinieri” sono infernali.  Spesso, infatti, il punto vendita apre i battenti in piena notte e coloro che ci lavorano sono costretti a sopportare turni massacranti che arrivano perfino alle prime ore del pome

Piccolo Duce mi ha minacciato

Piccolo Duce mi ha minacciato.  Anzi, ha cercato d’intimidirmi.  È successo alla fine del mio turno di cassa.  Dovevo staccare prima per recarmi nel primo pomeriggio in sede a parlare con un responsabile delle risorse umane.  La ragione del colloquio era una valutazione sul mio operato, anche in relazione al termine del contratto a tempo determinato che stava per scadere.  In realtà, il responsabile delle risorse umane voleva sapere se la mia formazione come assistente alla vendita stesse progredendo o si fosse arenata come nell’altro punto vendita.  Prima della chiusura di quest’ultimo, infatti, anche a causa dell’incidente mortale che aveva coinvolto il camionista, m’ero lamentato più volte di venir relegato per settimane e mesi sempre e solo in cassa, con il risultato che non ero in grado di gestire magazzino e ribalta.  E comunque, era stato già tutto pattuito con la direzione del punto vendita.  Piccolo Duce sapeva, dunque, e mi aveva accordato un’uscita anticipata, giusto per pot

Mario, il capo cassiere, è stato umiliato anche oggi

Mario, il capo cassiere, è stato umiliato anche oggi dall’Ippopotamo, il direttore. Non so bene quale sia stata la sua mancanza ma è stato portato vicino all’ascensore del piano terra, oltre il bancone dell’accoglienza e là è stato malmenato con le parole. Stavo lavorando in una delle casse veloci, quelle a cui si può accedere se hai solo un cestino, ed ero abbastanza lontano, ma ho veduto distintamente il direttore che abusava dei suoi poteri e offendeva il poveretto con parole come “Coglione”, “Mentecatto”, “Essere inutile”, “Fardello aziendale”, “Handicappato” e “Imbecille”. Queste parole non le ho udite direttamente ma ho potuto vedere, dato che, seppur a breve distanza, stavo loro di fronte, i movimenti delle labbra dell’Ippopotamo, i suoi denti (pareva che ringhiasse e vomitasse gli insulti), gli occhi rivolti per terra del povero Mario e la sua espressione, triste, malinconica, arrabbiata e rassegnata: se solo avesse potuto si sarebbe sotterrato lì stesso. Poi ha girato i tacchi

La grande distribuzione organizzata condiziona la nostra vita

La grande distribuzione organizzata (GDO) ha influito profondamente sulla nostra vita di persone e consumatori. Separo i due concetti, e sono convinto che tutti dovrebbero avere il coraggio e l’onestà intellettuale di farlo, perché questo modo di distribuire i prodotti di largo consumo, alimentare e non, su scala nazionale e internazionale, ci ha condizionato prima di tutto come persone e poi come consumatori. Le politiche di queste aziende, i loro profitti, il loro modo di gestire il personale e il rapporto con il cliente, hanno trasformato il modo d’interagire con i nostri simili e la realtà che ci circonda. Supermercato non è sinonimo di mercato e i reparti situati al suo interno non sono la realtà corrispondente a ciò che troveremmo per strada o nei mercati civici. Ma nonostante questo, continuano a riscuotere sempre maggior successo. La GDO ha avuto un grande effetto sulla realtà commerciale nazionale. Il primo, derivante dalle sue politiche di prezzo, di promozione e distribuzion

Il Galletto era quasi il figlio del padrone

Il Galletto era quasi il figlio del padrone, nel senso che la madre, santa donna, era convolata a seconde nozze con l’amministratore delegato della Gialla, testa coronata della direzione commerciale con potere di vita e di morte su tutto l’organigramma e, in particolare, sul nostro affannoso peregrinare verso la vetta della piramide aziendale. Era intimamente tormentato e per questo intransigente, rabbioso, nervoso e, spesso, letteralmente privo di rispetto nei confronti dei suoi subordinati, che trattava come strofinacci per pulirsi i calzari. Si vantava di aver percorso il logorante iter di carriera come tutti e che il suo cammino da assistente di reparto era durato ben otto anni, di cui gran parte trascorsi a lavorare in un punto vendita dove si trafficava anche la notte, senza sosta. Tutti, lui compreso, sapevamo che da quando il suo destino aveva incrociato quello della gallina dalle uova d’oro, espressione con cui un mio collega chiamava simpaticamente l’A.D. della Gialla

A Bombazza!!!

Il Bombazza è sempre stato uno dei miei personaggi preferiti. Massiccio fisicamente ma pazzo come un cavallo o, come minimo, vittima di scatti nevrotici oltre la norma che, in certi momenti, pensavi che sarebbe potuto scoppiare. Forte come un toro (vi giuro che, una volta, ha sollevato, con nonchalance e solo con un braccio, due colli di pasta, roba da trenta chili, e, un’altra volta, ha riempito di botte un ausiliario alla vendita che l’aveva provocato per farsi due risate con gli amici) ma, soprattutto, amante dell’altro sesso come un militare in pieno periodo d’addestramento e isolato dal resto del mondo. Le donne gli piacevano e basta, come diceva lui, anche se, in certi giorni, rivendicava il proprio diritto a sentirsi una di loro, anzi, “una troia”, come teneva a specificare, e molestava, senza pudore né ritegno, un addetto ai latticini che, timidamente, cercava di non dare a vedere di tradire un imbarazzo strisciante. Il Bombazza era addetto alla balla di cartone e a q

Mai nessuno se n'era accorto

Se l’unico scopo della Gialla, come del resto di tutte le aziende della GDO, era quello di vendere al dettaglio il più possibile, puntando al massimo aumento della produttività e dei profitti, e a totale discapito di tutto il resto, personale compreso, esistevano ancora delle persone che ci lavoravano, e in prima linea, che, nonostante avessero ricevuto una formazione professionale avente come unico scopo quello di fidelizzare il cliente con politiche di marketing, carte fedeltà e prezzi al ribasso, credevano ancora nei valori dell’onestà e della correttezza e sconsigliavano l’acquisto di alcuni prodotti, se non li ritenevano all’altezza delle aspettative e della salute dei clienti. La Gialla, lo volessero o no i direttori, gli ispettori, i capi settore più sanguinari e, da lì, fino all’amministratore delegato in persona, era fatta anche di queste personalità, di questi personaggi, figli di un Dio minore, costantemente isolati, osteggiati, vessati, che non disdegnavano le numerose

Giorno d'inventario al supermercato

Esiste un giorno, per i lavoratori della grande distribuzione, che non si può dimenticare. No, non si può. Ed è un giorno bellissimo (mi sembra di risentire quel mentecatto del direttore) in cui s’arriva presto ma non si è costretti a indossare l’uniforme e ci si può vestire come si vuole per fare una di quelle cose da cui non si può prescindere in un inventario: contare. Non ti serve tanto, solo una matita in grado di scrivere sulle etichette di plastica dei prodotti, uno straccio e uno spray per la polvere. Vieni assegnato a uno scaffale e devi contare tutti i pezzi in assortimento, uno per uno, separando quelli integri da quelli che non possono più essere messi in commercio. È un lavoraccio, credetemi, e ci s’impiega pure un sacco di tempo, anche perché l’azienda non ti chiede soltanto di contare i pezzi, ma ti affida anche l’ingrato compito, già che ci sei, giustamente!, di pulirlo, quel maledetto scaffale su cui sono riposti da giorno immemorabile. Una delle cose più

Pressioni psicologiche e violenza: come ammorbidire il dipendente al supermercato

La tecnica di pressione psicologica più utilizzata è quella della predominanza fisica, in altre parole, dell’intimidazione non verbale.  Il preposto si pone davanti al lavoratore con la faccia minacciosa, visibilmente alterata, occhi negli occhi, braccia lungo il corpo e pugni serrati. Ha il viso impietrito, la mandibola contratta, lo sguardo duro, deciso e sgarbatamente risolutivo. Il suo atteggiamento è simile a quello di chi sta per venire alle mani. Questo stratagemma risulta efficace sia in magazzino sia nell’area vendita, dove, però, vista la presenza dei clienti, la manifestazione d’aggressività sarà sicuramente inferiore. Viene utilizzato per escludere il lavoratore dal resto del gruppo e indurlo più facilmente a rassegnare le dimissioni. Il più delle volte, se il dipendente s’accorge di quest'anomalia, è più probabile che imposti le proprie difese solo dal punto di vista del merito delle accuse rivoltegli. Si focalizzerà, cioè, non sull’aggressività abnorme

Ratti di magazzino: lavorare nei supermercati. Pressioni e coartazioni psicologiche 1

Le pressioni psicologiche sono uno strumento concreto utilizzato per innalzare il rendimento del dipendente.   L’obbiettivo principale è e rimane l’aumento della produttività dei punti vendita . La strategia dell’osservazione diretta e dell’analisi dei casi più significativi, mi hanno permesso di giungere a qualche conclusione preliminare. Prima di tutto, le pressioni non sono esercitate con metodi o tecniche del tutto soggettivi, e cioè svincolati da una logica sistematica e collaudata. Al contrario,  specie  nelle catene distributive più strutturate, si può notare come il personale adibito alla direzione dei punti vendita utilizzi tecniche predefinite sulle quali è stato puntualmente istruito da appositi professionisti . Durante tutta la mia permanenza, ho avuto modo di constatare come ogni dipendente sia sottoposto a un periodo d’osservazione, di solito coincidente con la durata del primo contratto a tempo determinato, all'interno del quale si cerca di individuarne i tratti p

Ratti di magazzino: lavorare nella grande distribuzione (parte quarta). Racconto stiletto

Era la prima volta che facevo la pausa pranzo dentro il negozio. Eravamo vicini a Natale e il pullulare dei clienti a tutte le ore era direttamente proporzionale al suono continuo ed estenuante degli oggetti che passavano sugli scanner degli operatori di cassa. Il volume era insopportabile. Alcuni, non avendo mai scoperto come si faceva ad abbassarlo e non avendo manco il coraggio di domandarlo a chi di dovere, che poi non è detto che lo sapesse, si mettevano i tappi per le orecchie che impedivano loro di ascoltare le continue lamentele dei clienti più anziani. Era più o meno l'una e io, fresco di fine turno e rendendomi conto che avevo una fame da paura, che andava di pari passo con il mal di testa, il mal di schiena e il rossore agli occhi, cara dolce cassa, non capivo bene se mi andava di uscire di lì o no. Non sapevo che fare, in fondo il tempo che avevo a disposizione, un'oretta circa, che poi si sarebbe ridotta a una mezz'ora scarsa che non mi avrebbe perm

Ratti di magazzino: lavorare nella grande distribuzione (parte seconda). Racconto stiletto

La percezione dell'ostilità altrui era diventata una solida realtà.  Concreta, materiale, quasi tangibile. Se prima si limitava a restare una sensazione, il che generava frustrazione ma contemporaneamente fiducia che potesse trattarsi solo di un pensiero, di una mia fissazione, alimentata da sguardi, modi di fare anche troppo sbrigativi e a tratti sconfinanti nel burbero e, non poche volte, nella cattiveria, se non nell'insensibilità pura o, come minimo, nell'assoluta assenza di tatto nel dire o non dire certe cose o nel farle o non farle, dopo i primi due, tre mesi, era naufragata nella certezza che coloro con cui avevo a che fare quotidianamente, anche se appartenevano a diversi reparti, non solo, non avevano alcun interesse a che io mi potessi radicare, riuscendo a sopravvivere, in quell'ambiente, ma volevano fare in modo che rinunciassi, che abbandonassi per sfinimento. Si era sedimentata in me la motivata consapevolezza di essere un corpo estraneo a quel mondo