Una delle cose che mi ha sempre stupito della Gialla era la costante ricerca di personale.
Nonostante l’assunzione a tempo indeterminato, infatti, parecchie persone, appena potevano, rassegnavano le dimissioni.
Lavorare nella Gialla era solo una fonte di reddito, ma mai un piacere o una soddisfazione.
E ora che ci penso meglio a distanza di anni, non incontrai mai una persona felice d’aver svolto le proprie mansioni per otto, dieci o dodici ore al giorno.
Chi poteva, appena poteva, scappava.
Chi, invece, per sua sfortuna, non poteva, o si rassegnava a subire tutti i santi giorni un clima lavorativo assolutamente indigeribile, oppure dichiarava guerra ai propri superiori e all’azienda e passava l’intera vita lavorativa a difendersi e ad attaccare.
Non c’era una via di mezzo, una soluzione intermedia, un piano B: lavorare nella Gialla era come stare in un campo di battaglia.
Se decidevi di rimanerci, non avevi alternative: o uccidevi per sopravvivere o perivi. E a nessuno fregava nulla di quello che potevi scegliere.
Per di più, questa realtà era conosciuta anche fuori dai punti vendita.
Molte persone, per via del passaparola, sapevano bene che clima respiravamo, ma, ciononostante, i nuovi arrivati non tendevano a diminuire.
Tuttavia non bastava aver voglia di fare, non era sufficiente impegnarsi, piegare la schiena, faticare, massacrarsi, era necessario anche essere violenti ed estremamente competitivi.
Dovevi farti valere, dimostrare che eri molto meglio dei tuoi colleghi che ambivano alla stessa promozione a cui ambivi tu.
E doveva piacerti comandare, dare le direttive e maltrattare gli altri se non le eseguivano.
Comandare e infierire, dunque, vessare, per arrampicarsi sempre più in fretta ed essere comandati da sempre meno persone lungo la scala gerarchica che portava al vertice della direzione commerciale.