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La vita di chi fa il cassiere è veramente dura

La vita di chi fa il cassiere è veramente dura, credetemi, sfibrante, snervante, opprimente.
Ragion per cui, anche se la maggior parte di voialtri, che non ha mai provato a stare dietro un registratore di cassa, non sarà d’accordo, sappiate che occorre essere dotati di numerose qualità che, per questioni statistiche, non tutti possiedono né sono in grado di conquistare con il passare del tempo e dell’età.
Non è affatto come sembra, non è cosa semplice né così matematica nella sua automaticità.
Bisogna essere dotati di un equilibrio psicologico oltre la media, di una calma e di una pazienza degne di un maestro zen e dei riflessi e del coraggio di un domatore di leoni.
Chi fa questo mestiere da molti anni e lo conosce a fondo, almeno quanto i clienti più assurdi che ne costituiscono l’humus essenziale, riuscendo a resistere e ad andare avanti senza sosta né rimpianti, è assimilabile più a un filosofo di vecchia data e a un equilibrista in bilico sopra l’abisso piuttosto che a un semplice lavoratore del terziario.
Ma tutto questo non basta, non è sufficiente a essere esaustivi nel merito.
Non rende minimamente l’idea di che cosa significhi veramente fare il cassiere e di quali doti siano necessarie per resistere senza timore alla bestia nera del cliente fidelizzato, al maniaco della carta fedeltà e al bisbetico dei punti promozione che regalino la batteria di pentole o diano diritto al servizio di piatti desiderato da una vita.
Che sia necessario essere pazienti, questo sì, lo possono immaginare davvero tutti.
Ma non solo.
Bisogna essere precisi nel calcolo, attenti nel dare il resto, cosa fondamentale, occorre abituarsi allo stress, imparare a divenire cordiali e sempre sorridenti in meno di due secondi netti, ma quel che è peggio, perché arduo da imparare, è saper “incassare” i duri colpi che derivano dalla cinica e sottile quanto inesauribile cattiveria della marmaglia clientelare che, senza pudore, ritegno o batter ciglio, rifila, al povero immolato di turno, le peggiori nefandezze verbali, gestuali o fisiche senza che allo stesso sia permesso di dare in escandescenze per mantenere e garantire un certo grado di contegno, per così dire, “aziendale” e impermeabile alla forma più genuina di maleducazione pura.
La lotta per la sopravvivenza è un dato innegabile anche se molto difficile da dimostrare e documentare.
La costante ripetitività e l’apparente semplicità delle mansioni non aiutano a identificare le ostilità ambientali che ruotano intorno all'operatore e, per rendersene conto appieno, spesso, non basta fare questo mestiere, esercitarlo, ma è necessario osservarlo dal di fuori puntando la propria attenzione su qualcuno che non sappia d’essere osservato.
Più volte, dopo aver finito il turno e prima di scappare via, lontano da quella bolgia infernale, cercavo di acquistare qualche bene necessario, anche per evitare di ritornare al supermercato non come lavoratore ma come cliente.
Ed è proprio stando in fila dietro i soprammenzionati che mi sono reso conto di come maltrattassero i miei simili, quasi sapessero, per una sorta di tacito avvallo aziendale, di potersi permettere il lusso d’infierire sulla dignità della persona che, in quel momento e suo malgrado, rendeva loro un servizio non da poco.

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