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Il lavoro del cassiere è un lavoro delicato

Il lavoro del cassiere è un lavoro delicato.
Molto delicato.
Oltre al ruolo ufficialmente riconosciuto di gestore dei flussi di liquidità, questa figura aziendale, troppo spesso bistrattata e banalizzata, rappresenta l'unica vera cerniera tra l'azienda distributiva e la clientela, saltuaria o abituale e fidelizzata che sia.
Sempre più sovente, infatti, se il cliente non si rivolge a nessun altro, il cassiere può diventare determinante per un suo ritorno, primo anello d’una lunga fidelizzazione, o, viceversa, per una sua fuga, causa di nefasta pubblicità e pietra tombale sul rapporto in procinto di nascere.
Inizia a operare sin dalle prime ore della giornata ed è tra gli ultimi a lasciare il proprio posto, tenuto conto delle operazioni finali di chiusura.
Lo stress lavorativo deriva, non soltanto, dall'utilizzo e dalla rendicontazione del contante, ma, soprattutto, dall'interfacciarsi con la clientela.
Figure sgradevoli, pazzi veri e propri, maleducati, persone violente e alienate condiscono le ore retribuite di questi baluardi del terziario, costretti a reagire sempre con un sorriso e facendo finta di niente.
Ebbene sì, cari amici, spesso, chi lavora dietro un registratore, non ha né la facoltà né la forza di reagire ai continui soprusi dei clienti e della direzione aziendale che pretende sempre più flessibilità e disponibilità.
Cassiere è sinonimo di schiavitù e soprusi.
Inoltre, di recente, è stato caratterizzato da una diffusa eterogeneità.
Dietro chi da resto e scontrino, infatti, ci sono laureati, ricercatori, specializzandi e persone molto più qualificate di quello che il solito luogo comune può indurre a pensare.
In alcune catene è adibito anche al rifornimento degli scaffali, operazione che viene alternata alla mansione principale nei momenti di bassa affluenza del pubblico e nelle prime ore della giornata.
In altre, al contrario, è adibito, esclusivamente, alla mansione contabile.
Pur effettuando turni di circa 6/7 ore, durante le festività e nei momenti più intensi dell'anno, può arrivare anche a 10/11 ore di lavoro giornaliero.
Prima di farlo, non avevo la minima idea di che cosa significasse, o meglio, ne avevo una vaga, prevenuta, miope e piena di pregiudizi.
Pensavo a questo lavoro come a qualcosa di occasionale, passeggero, e, proprio per questo, automatico e facile da imparare, semplice e immediato, con poche responsabilità e facilissimo da buttarsi alle spalle a fine giornata.
Qualcosa di transitorio in attesa di meglio.
Nulla di più sbagliato.
Prima di tutto, per poterlo fare, occorre essere pazienti.
Molto pazienti.
L’autocontrollo è essenziale.
Uno stress mentale continuo e perdurante, indotto dal brusio di sottofondo, dalle urla di chi sbraita o si lamenta per qualcosa di cui ti sfugge perennemente il motivo e dalle continue richieste di chi ti circonda, obbliga a rimanere lucidi e imperturbabili per un’unica ragione da tenere sempre bene a mente: stai maneggiando il contante e non puoi sbagliare.
E dopo qualche ora, quel sorriso che t’eri imposto di mantenere, per lo meno sino alla fine del turno, inizia a scemare, a svanire, facendo prevalere quella voglia di spegnere tutto, testa compresa, e andartene, fuggire, lasciare il posto al collega, rompere con le catene del quotidiano e perfino con i soldi che ti versano sul conto corrente a fine mese.

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