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L'autoeditore è un professionista? Deliri pomeridiani


Lo vuoi capire che ti devi trovare un altro lavoro?
Anzi, un lavoro, per essere precisi. 
E smettila di atteggiarti a qualcuno che ha qualcosa da dire. Pagaci le bollette e gli spaghetti e non stare lì seduto a far finta di pensare.
Ancora? Ma che vuoi?
Eh, ancora. Io la vedo grigia, capito? Qui non si sbarca il lunario.
Ma perché non te vai?
Andare? E dove, sono nella tua testa.
Ho capito, ma lasciami in pace, ho da fare, non vedi?
Sì, sì, come no, lo vedo che sei pieno d'impegni, che hai un diavolo per capello.
Fai poco lo spiritoso, se no prendo un analgesico e finisce che sparisci almeno per una settimana.
Cos'è? Una minaccia?
Sì, hai capito bene, una minaccia.
A questo siamo arrivati.
Sì, perché mi hai rotto.
E poi ho capito una cosa: tu non sei né una nevrosi né un'allucinazione, figuriamoci poi uno scampolo di coscienza che si autopromuove a direttore del mio gabinetto editoriale.
E chi sarei, scusa?
Sei un senso di colpa. 
Pesante, asfissiante, vecchio come la notte dei tempi. 
Mi attanagli, mi consumi, mi esaurisci le energie e, guarda un po', non mi dai manco un briciolo di ispirazione.
Quindi la colpa è mia?
No, non dico questo, è che remi contro.
Scusa un attimo, vediamo di fare chiarezza, tanto siamo qui a menare il can per l'aia: ma credi di essere un professionista, tu?
Che rilevanza ha, scusa?
Come che rilevanza ha, da questo dipende tutto, tutto quanto.
Pensi di essere come un geometra, un dentista, un avvocato, un ragioniere, un consulente del lavoro?
Beh, sì, in un certo modo.
In che modo, scusa? Hai una partita iva, dei clienti, un albo professionale a cui sei iscritto? Fai fatture? E insomma, hai capito.
No, ma che c'entra?
Come, che c'entra?
Te lo dico chiaramente, vediamo se capisci: non è che se uno si definisce un professionista, allora lo è effettivamente.
Ah, no?
No.
E perché, di grazia?
Numero uno, è una questione di soldi. 
Il libero professionista, quello vero, quello che tutti chiamano Dottore, svolge il suo lavoro come attività redditizia. 
Detto in altre parole, caro mio, ci campa. 
Non ci sopravvive o fa finta di farlo, ci vive proprio, e ci vive pure in un certo modo, cioè bene.
Ah, sì?
E certo.
Quindi, secondo il tuo ragionamento, uno che ha tutti i titoli per essere definito un professionista, se non lavora, e cioè se non esercita, anche se rimane in attivo, poniamo, non è definibile come tale. 
Eh, sì.
Cioè mi stai dicendo che mi qualifica un professionista la presenza dei clienti paganti?
Beh, sì, in un certo senso, sì, proprio a voler essere fiscali.
Ti qualifica il fatto di svolgere un'attività che ti consenta di stare a galla economicamente.
Allora ti do una notizia, caro il mio senso di colpa: numero uno, sono dottore anch'io, numero due, la quasi totalità dei cosiddetti liberi professionisti non lo è affatto.
Ah, no?
No, e lo sai.
Vogliamo parlare degli avvocati?
Sì, ho capito dove vuoi andare a parare, ma qui il punto è un altro, la domanda fondamentale è: puoi definirti uno che esercita una professione, ergo, che lavora e che matura una certa esperienza per essere definito professionale, anche se non guadagni abbastanza in ragione di ciò che fai?
E poi, non in ultimo, mettiti anche nei panni di chi sta dall'altra parte, e cioè il lettore: chi glielo garantisce che quello che gli vendi sia fatto per benino, e cioè a regola d'arte, o sia tutto una fuffa che sbatti sulla rete giusto per soddisfare il tuo ego?
Allora, che mi dici, non parli, eh?
Non è che mi hai ammutolito, è che oggi ti sei proprio superato perché, se sto dietro alla tua logica, potrei anche prendere in seria considerazione l'idea di lasciar perdere tutto.
E questo anche in ragione di una domanda banale: ma, in fondo, chi me lo fa fare? 
Ricco, non diventerò sicuramente ricco, non ho partita iva, anche se per ora nessuno mi obbliga ad aprirla, non sono iscritto a nessun albo e il grisbi, chiamiamolo così, non giustifica né lo sforzo né il tempo dedicato. 
In fondo il professionista, come tu m'insegni, ragiona così, no?
E certo.
Quello che non mi convince del tuo ragionamento, però, è un piccolo dettaglio: a differenza di un avvocato o di un geometra, poniamo, che lavorano solo su commissione, e cioè su casi concreti, chi scrive lo fa spinto da altro, e cioè da una molla che prescinde da un'esigenza economica, premessa logica del portare avanti un'attività che necessità come minimo il pareggio di bilancio come ragion d'essere.
Come prego? 
E mo' te lo  spiego.
Io non inizio a buttar giù qualcosa perché un cliente me la domanda, perché un lettore, e cioè il fruitore finale della mia opera, me lo chiede.
Io esercito un'attività libera, in quanto scrittore, poiché scevra dall'idea di profitto e me ne frego del ritorno economico e del pareggio di bilancio.
Poi, e qui sta il bello, siccome sono anche l'editore di me stesso, se il costo della pubblicazione è pari a zero o quasi, me ne frego in pompa magna dei sillogismi economici.
Perché qui sta l'equivoco: in pari deve stare l'attività, cioè quello che si fa nel concreto, che non deve costare più di quanto frutta, non chi la esercita.
Quanto alla professionalità, cioè all'affidabilità lavorativa, contrariamente agli altri professionisti, che migliorano solo e soltanto in virtù di quanto possono esercitare nel concreto, e cioè in dipendenza di chi chiede i loro servizi, chi scrive e autopubblica può contare sulla banale circostanza che è completamente svincolato dal numero dei fruitori della sua opera.
E, quindi, caro mio, ben possiamo definirci dei liberi professionisti.

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