L'ansia mi divorava in ogni momento della giornata e il pensiero costante, martellante, di aprire la porta di casa e di ritrovarla riversa su un fianco, esanime, con gli occhi sbarrati e i capelli già luridi intrisi da un rivolo di sangue fuoriuscito dalla bocca, alimentava la mia ossessione di prevedere ogni sua mossa più assurda e insensata, ogni suo spreco di tempo e di energie che diventava anche il mio e contribuiva a far focalizzare l'attenzione sul peggio che le potesse capitare.
La convinzione di potermi ridurre a vivere per controllarla, si stava tramutando nella mia crocifissione, consumava i nervi, esasperava il fisico, toglieva il sonno o comunque ne peggiorava la qualità.
Ed era solo la presa d'atto del suo esatto contrario, e cioè dell'impossibilità di coartare ogni sua decisione, ogni suo movimento, ogni sua dipartita, anche temporanea, che alleggeriva, anche da lontano, questa idea.
E non poter fare di più, oltre a dover fare quello che serviva, mi dava la misura esatta di quello che contava davvero.