Ogni giorno la stessa storia, la stessa condanna.
Se non si riusciva a stare addosso agli scaffalisti, la nottata dell’addetto di chiusura sarebbe stata piuttosto lunga.
Il meccanismo era semplice, semplicissimo quanto spietato.
La merce entrava col camion e doveva essere smistata.
Una volta smistata, sarebbe andata al rifornimento di quegli scaffali che avevano ammanchi.
Il rifornimento doveva essere fatto dagli scaffalisti.
La battaglia era proprio questa: chi smistava doveva essere molto veloce a farlo e appena aveva un bancale pronto, doveva anche avere sottomano l’uomo che sarebbe andato in area vendita a rifornirlo.
Più buchi si riuscivano a tappare, meno probabilità avrebbe avuto l’addetto del notturno d’andare col muletto e il bancale di fattura per buttarla a terra ai rifornitori dell’indomani mattina.
Il mio primo caporeparto mi diceva sempre che per sopravvivere in quest’ambiente, fino a quando non sarei stato promosso al suo rango, era necessario incatenare l’uomo allo scaffale.
Bisognava, cioè, fare in modo che lavorasse lui al posto mio e riempisse gli ammanchi, onde evitare che io, quella stessa notte, dovessi arrovellarmi per trovare i colli nella fattura mista o decidere quanti ne sarebbero stati buttati a terra.
Incatenarlo allo scaffale era essenziale per non tornare a casa alle due di notte.
Appena arrivava il camion in ribalta, dunque, si correva per scaricarlo tutto e ricaricarlo coi vuoti, le balle della plastica e del cartone e la vecchia promozione, poi si sistemavano i bancali vuoti davanti alla fattura e si cominciava a smistare secondo la categoria d’appartenenza: prima la pasta, poi un bancale di biscotti e merendine, poi uno solo di pane e salati e, contemporaneamente, si mettevano da parte il gem e i colli dei vini fuoriposto.
Il segreto era quello di fare bancali più mirati possibile, o meglio, quando si avevano a disposizione, i carrelli grandi, in modo tale che lo scaffalista individuasse più facilmente e subito gli ammanchi e rifornisse all’istante portandoti indietro l’avanzo.
Ma quando a fine serata, vuoi per l’aumento della clientela o la fine dei turni di chi era arrivato prima, tutti venivano chiamati in cassa, andavi nel pallone più totale e cominciava il panico.
La ragione?
Non avevi nessuno che ti aiutasse e non si poteva occupare l’area vendita con i colli pieni (avrebbero impedito ai clienti di fare la spesa).
Quindi, l’unica cosa da fare dopo aver finito di smistare tutto per bene (passaggio essenziale per finire di buttare a terra il prima possibile), era quella di venire fuori con i bancali o i carrelli già smistati e cominciare a rifornire.
Ma i più, fra i miei colleghi, vi rinunciavano per paura di perdere tempo con i clienti petulanti.
Morale?
La perdita di tempo si sarebbe dovuta recuperare dopo, la notte, quando eri solo, completamente solo, e nessuno ti aiutava.
E allora la soluzione era sempre una: smistare il più in fretta possibile e braccare gli scaffalisti a ogni costo.
Tornare a casa a dormire a un’ora decente diventava, giorno dopo giorno, sempre più difficile ma non meno necessario.