Un assessore alla sanità che butta fuori un giornalista che gli fa notare l'evidenza, la banale evidenza, e cioè che il sistema sanitario regionale fa acqua da tutte le parti, mette in risalto una cosa che ogni sardo sa bene dalla nascita: la politica che lo comanda e che lo sfrutta, non che lo amministra, e spesso a sua insaputa, non prende neppure in considerazione l'ipotesi di essere messa in discussione, pure di fronte all'incapacità oggettiva di fare fronte al proprio mandato.
E la cosa non è strana.
Sono gli abitanti dell'isola i principali responsabili.
Ogni sardo è abituato a che Lor signori facciano quello che vogliono, come vogliono e sino a quando vogliono.
Gli è sempre stato insegnato a non mettere nulla in discussione dello status quo.
Ogni sardo è abituato a chinare la testa davanti ai suoi padroni e a dire sempre di sì, a chiedere con il piattino tra le mani quello che gli spetterebbe di diritto e a rinunciare alla propria dignità in cambio della fedeltà a chi gli dà di che vivere.
Alza il cappello, rende omaggio e china la testa.
Il rapporto padronale a cui è stato abituato sin da tenera età, il sottomettersi in cambio di nulla, il venerare l'indegno, sono la ragione logica del perché di fronte a questo sfacelo politico, di fronte a questa legione di ratti di cloaca che ha risalito gli scarichi fognari e ha preso posto sugli scranni del potere, nessuno fa niente o solo s'indigna.
Ogni vassallo o servo della gleba che si rispetti prega che il proprio padrone lo protegga e lo preservi. Se così non fosse, che almeno il funerale sia dignitoso.